Page 14 - Programma di sala - 12 marzo 2021
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nel caso del Concerto per violino. Che è, tra l’altro, l’ultimo Concerto
          scritto  da Mendelssohn.  E  comunque è  frutto  di una maturità
          splendida,  quella  della  sua  stagione  estrema:  nei  tre  anni  che  gli
          restarono  da  vivere  dopo  averlo  portato  a  termine,  Mendelssohn
          avrebbe aggiunto relativamente poco alla già lunga lista dei
          suoi capolavori, prima di cadere stremato dalla fatica di una vita
          intensissima e tutta dedicata al lavoro. Anzi, a parte la musica
          da  camera nata  dopo  quel 1844,  è proprio nel  Concerto  op. 64
          che dobbiamo riconoscere il messaggio ultimo di Mendelssohn.
          L’ultimo, e forse il più alto: perché poche volte, pur nel susseguirsi
          dei  capolavori  perfetti,  Mendelssohn  seppe  così  bene  fondere  e
          amalgamare le due anime che in lui convivevano, quella del romantico
          tutto intuizione, serenamente libero dalle pastoie dell’accademia,
          e  quella  dell’artigiano  provetto,  levigatore  indefesso  di  superfici
          lucenti, minuzioso costruttore di forme equilibratissime. Un dualismo
          creativo che Schumann, critico acutissimo, aveva saputo cogliere
          a meraviglia, battezzandolo Felix meritis: fortunato, per suo merito,
          felice per fortuna e virtù.
          Il Concerto op. 64 da un lato appare fortezza elegantissima, ben
          costruita e lavorata a dovere. Dall’altro dichiara la sua appartenenza
          alla stagione alta del Romanticismo per molte scelte nuove, ardite
          o comunque insolite. L’impianto formale cerca e trova continuità di
          idee e di tensione intima, rifiutando di articolarsi in tre tempi distinti
          e facendoli invece succedere senza interruzione, quasi in un gesto
          unico della fantasia e dell’espressione, orientato via via verso orizzonti
          diversi ma fra loro complementari, secondo quell’aspirazione all’unità
          e alla compiutezza che percorre tanta musica dell’età romantica.
          Lo stesso vale per l’invenzione melodica e ritmica. A cominciare
          dal primo tema, che arriva esposto subito  dal violino. Messa da
          parte la tradizione che voleva affidata l’esposizione dei temi al “tutti”
          orchestrale, per poi fare entrare il solista con tutta solennità, qui
          basta un moto ondulante dell’orchestra perché il violino sciolga la
          ricchezza inimitabile delle proposte espressive in un tema che è
          subito indimenticabile; il secondo tema, esposto poco dopo, è più
          il necessario complemento che non l’antagonista, come avrebbe
          potuto essere in Mozart o in Beethoven.
          E il lirismo dell’Andante, e il virtuosismo aereo del Finale, dove la
          sfida  alla  materia  irreversibilmente  imposta  da  Paganini  al  violino

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