Page 15 - Programma di sala - 2 aprile 2021
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dez Varela, con la clausola precisa che la partitura avrebbe avuto
solo esecuzione privata e sarebbe rimasta inedita.
Le cattive condizioni di salute impedirono al compositore di termi-
nare il lavoro, e Rossini affidò all’amico Giovanni Tebaldini il compi-
to di integrare le parti mancanti, circa metà della partitura. Morto il
prelato Varela, lo Stabat di Rossini-Tebaldini entrò in possesso nel
1841 dell’editore Aulagnier, che ne annunciò la pubblicazione. Ne
scaturì una vertenza giudiziaria; Rossini comunque, preoccupato al
pensiero di riproporsi nuovamente al pubblico con un lavoro non
interamente suo, accettò l’invito del suo editore Troupenas a ripren-
dere in mano la partitura; scrisse così i numeri mancanti (n. 2 “Cujus
animam”, n. 3 “Quis est homo”, n. 4 “Pro peccatis”, n. 10 “Amen.
In sempiterna saecula”) e accettò che lo Stabat venisse eseguito
al Théâtre italien di Parigi il 7 gennaio 1842 con rinomati cantanti
d’opera (Giulia Grisi, Emma Albertazzi, Mario de Candia, Antonio
Tamburini); importanza ancora maggiore avrebbe poi avuto l’esecu-
zione bolognese del 18 marzo, nella sala dell’Archiginnasio, sotto la
direzione di Gaetano Donizetti e la supervisione dell’autore.
Al di là dei fattori contingenti che lo spinsero a pubblicare lo Stabat,
Rossini era ben consapevole che ripresentarsi al pubblico dopo tre-
dici anni di silenzio con un lavoro sacro equivaleva a prendere una
precisa posizione all’interno del dibattito, accesissimo, sulla musica
sacra e sul suo rinnovamento. Per oltre un secolo la musica sacra
era stata segnata da quello “Stilus mixtus” che affondava le proprie
radici nella tradizione napoletana di Alessandro Scarlatti e che aveva
dettato legge in tutta Europa; uno stile, cioé, che affiancava con
disinvoltura pagine improntate al severo stile contrappuntistico di
matrice palestriniana – considerato come emblema della eternità e
immutabilità dei fondamenti della religione – e pagine apertamente
profane ed edonistiche, di gusto teatrale – a sottolineare il rapporto
dialettico della religione con la storia e la società.
Proprio questa antinomia era divenuta bersaglio della nuova leva
di compositori romantici, orientati a portare la musica sacra sotto
l’influenza di uno spiritualismo depurato da qualsiasi suggestione
teatrale e filtrato attraverso un soggettivismo inteso a “comunicare”
il sentimento religioso. Diversa la posizione di Rossini, per il quale
invece il “sacro” può essere rappresentato oggettivamente, come
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