Trent’anni dopo: quel che dobbiamo a Fedele d’Amico

45,00 (+ spese di spedizione)

Libro

a cura di Annalisa Bini e Jacopo Pellegrini
pp. 798

L’opporsi ai luoghi comuni non è dovuto (come spesso si crede) a un temperamento bilioso di bastian contrario, bensì a uno strenuo “fondamento morale”, a uno spirito di lotta che si rivolge contro le forme di alienazione prodotte, a suo dire, da cultura e spettacolo nella società neocapitalista: il cinema e la televisione, le regìe attualizzanti, le opere eseguite in lingua originale, i neologismi indiscriminati. Figura complessa e contraddittoria, ostica per gli altri e per se stesso, d’Amico è molto noto (seppur non sempre molto apprezzato) in Italia, assai meno all’estero, proprio per il carattere volage di molti dei suoi interventi. Questo volume più che fare il punto su di lui ambisce a offrire materia fertile per ulteriori ricerche: che ripensino la sua lezione, verifichino le sue prospettive, discutano le opinioni abbarbicatesi sul suo conto, a cominciare dalla taccia di misoneista. A quanti presero parte al convegno romano su d’Amico – specialisti e cultori di discipline e generazioni diverse – si sono aggiunti ulteriori studiosi, anche stranieri. In dialogo con loro, un’antologia di scritti dispersi, qui riproposti per la prima volta, e di documenti inediti, provenienti dall’archivio d’Amico. A completare il quadro, in un volume a parte, l’inventario della sua biblioteca musicale, confluita nelle collezioni dell’Accademia di Santa Cecilia.