Page 15 - Programma di sala - 16 aprile 2021
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ha visto sgorgare una lacrima sul volto di Adina, e questo gli fa pen-
             sare di essere corrisposto; malinconicamente intona allora un’aria
             (“Una furtiva lagrima”), su un motivo disteso ma capace di slanci
             appassionati, in un’atmosfera di struggente idillio che in orchestra è
             evocata dall’arpa e dal pizzicato degli archi.

             L’anno subito dopo L’elisir d’amore, ma in un lasso di tempo occu-

             pato da ben altri tre titoli operistici, Donizetti presentò LUCREZIA
             BORGIA  (1833). Un  dramma  tragico, che  il solito  Romani aveva
             stavolta ripreso da un testo teatrale di Victor Hugo di recentissima
             rappresentazione, e che a sua volta aveva tratto ispirazione dalla ce-
             lebre, controversa esponente della famiglia Borgia, dalla tradizione
             accusata di essere avvelenatrice e incestuosa. Alla figura della spie-
             tata assassina si rifà anche l’opera di Donizetti, che però la ritrae più
             che altro come madre trepidante per le sorti del figlio Gennaro: nel
             truculento susseguirsi di odio e vendette fra nobili casate, Lucrezia
             finirà fatalmente per avvelenare Gennaro, rivelandogli solo alla fine
             di essere sua madre e accasciandosi disperata sul suo cadavere.
             Vuoi anche per problemi di censura, che imposero il cambiamento
             di personaggi e luoghi e dunque del titolo, Donizetti rimise più volte
             mano  alla  partitura  di  Lucrezia  Borgia:  ne  approntò  una  versione
             con un finale differente (1840) e inserì nuove arie per accontentare
             i cantanti interpreti del momento. Fra queste, troviamo una pagina
             che ha per protagonista Gennaro e destinata alle acclamate doti
             canore del tenore Giovanni Matteo De Candia (in arte Mario), che
             interpretò il ruolo in alcune successive rappresentazioni parigine. È
             un brano, nel secondo atto, che coglie Gennaro in un momento di
             raccoglimento pensoso e di languido rimpianto: la scena (“Com’è
             soave quest’ora di silenzio al mio dolente cor”) viene introdotta
             dalla nobile solennità dei timpani e dai fremiti dei violini, ed è svolta in
             un espressivo, duttile recitativo; ne scaturisce poi la Romanza (“An-
             ch’io provai le tenere smanie d’un puro amore”), un Larghetto
             cantabile tutto dominato dalla tenerezza e dall’introspezione, soavi
             linee melodiche che sono però scalfite anche da lampi drammatici.







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