Page 10 - Programma di sala - 16 aprile 2021
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verosimile nella musica di Donizetti, che annuncia atmosfere funeste
già nel Preludio della Lucia di Lammermoor, in quel misterioso rullar
di timpani sui quali si leva il lamento funebre dei corni. Pagina breve,
ma concentrato di drammaticità, che Donizetti salda senza soluzio-
ne di continuità, e con efficace effetto teatrale, all’entrata in scena
del coro: sono gli armigeri del castello scozzese dei Ravenswood,
ora usurpato dagli Ashton, e con una baldanza quasi guerresca
(“Percorrete le spiagge vicine”) stanno seguendo le tracce di un
misterioso uomo avvistato nei dintorni, e che poi si scoprirà essere
Edgardo.
Uno dei momenti culmine del crescendo drammatico che Donizetti
realizza in Lucia di Lammermoor è nel Finale I. Edgardo annuncia
a Lucia che, prima di partire per una nuova impresa militare, vuole
riappacificarsi con Enrico; ma lei lo sconsiglia, troppo forte è ancora
l’odio del fratello nei confronti dell’amato. Edgardo rammenta allora
di quando, pur consapevole della feroce rivalità fra le loro famiglie,
s’innamorò di Lucia: affida così il suo struggente ricordo a una me-
lodia quasi implorante (“Sulla tomba che rinserra”), distesa su un
morbido tappeto di pizzicati. È l’avvio di una scena che coinvolge
anche Lucia, e che Donizetti costruisce su un mobilissimo gioco di
contrasti, fra episodi di gusto belcantistico impreziositi da virtuosismi
vocali e momenti dagli accenti drammaticamente concitati. Finché
le due voci si uniscono, a simboleggiare la reciproca promessa d’a-
more eterno, in quello che è il vero e proprio duetto (“Verranno a te
sull’aure / I miei sospiri ardenti”): e qui il Belcanto pare tornare
alle sue origini, esprimendosi in una nobile melodia che procede per
ampi intervalli, che si slancia come protendendosi verso l’infinito,
abbracciando Lucia ed Edgardo in quel canto unico.
Non meno celebre fra i titoli di Donizetti, pur appartenendo ad un ge-
nere diametralmente opposto, è DON PASQUALE (1843), l’ultima
sua opera comica. Complice il libretto di Giovanni Ruffini, che su in-
dicazione dello stesso compositore si rifece a un vecchio testo, Don
Pasquale non risponde in realtà all’idea di una comicità assoluta
(quella di un Rossini, ad esempio), ma coniuga malinconia e sorriso
secondo un gusto che, ancora una volta, è di natura squisitamente
romantica. La burla punitiva orchestrata da Ernesto ai danni del ric-
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